Dancing Paradiso – Mostra e presentazione del libro fotografico
di Silvia Diamanti
Dancing Paradiso è stata esposta in anteprima alla libreria Marmo di Forlì,
poi nel locale notturno Gallery16 di Bologna, insieme a Balere di Gianluca Perrone. Il libro omonimo che raccoglie gli scatti è edito da Quinlan; nel suo blog Fotocrazia così ne ha scritto Michele Smargiassi: “Nelle balere della Romagna, dove ballare è un modo di stare al mondo, anzi è un mondo. Gare di ballo, piccoli danzatori, anziani danzatori, applausi e amori in una tenerezza in bianco e nero.”
Silvia Diamanti
(Bologna, 1975) Ha cominciato a dedicarsi alla fotografia da autodidatta, poi ha seguito gli insegnamenti di Guido Guidi e dei suoi allievi, come Marcello Galvani, cercando inoltre di approfondire l’aspetto anche artigianale, inclusi sviluppo e stampa. La prima esposizione è stata Ritratti siciliani nell’ambito dell’allestimento di Omu cani, pièce teatrale di Davide Dolores, per RancurArte.
Ha detto Diane Arbus: «Una fotografia è un segreto su un segreto…».
Questi segreti io li trovo negli ambienti marginali, ricchi di suggestioni e per me connessi ad archetipi attraverso legami inconsci. Nelle mie foto non c’è nessuna preparazione, nessuna messa in posa: lascio che i soggetti si posizionino, che l’ambiente guidi me e loro in maniera inconsapevole, subconscia, senza nessun calcolo razionale. In questo contesto la macchina fotografica agisce attribuendo importanza e bellezza a quello che il mio sguardo raccoglie. Perciò forse nella scelta di soggetti anonimi c’è anche una volontà di dare riscatto a essi.La macchina fotografica è strumento di rivelazione, produce in me il desiderio di vedere come essa vede quello che sto vedendo: il processo attraverso cui potrò vedere ciò che essa mi restituirà è estremamente affascinante. Da qui anche la scelta di lavorare a pellicola, che amplifica questo aspetto in un certo senso magico, oltre che predispormi a una condizione di concentrazione, a una sorta di stato meditativo, di trance ipnotico. E di fotografare in bianco e nero: nella pura gradazione della luce, come nella memoria, sbiadisce la traccia spettrale della vita.
In fin dei conti, fotografare è andare a caccia, di qualcosa che può – nella luce della fotografia – diventare qualcosa di diverso, di sacro, di bello, alla maniera di Duchamp.